Vi abbiamo già parlato della dirofilariosi, presentandovi l’anatomia, la classificazione tassonomica e il ciclo vitale del parassita che la causa; ebbene, oggi entreremo più nel merito della questione, andando ad approfondirne l’aspetto clinico e discutendo della diagnosi, della profilassi e del trattamento. Innanzitutto, occorre precisare che non esiste alcun vaccino contro la dirofilariosi: quello che viene somministrato annualmente al nostro cane o gatto non è che un farmaco in grado di eliminare gli stadi larvali e avente effetto retroattivo. Ma allora come possiamo combattere questo nemico così insidioso e come possiamo evidenziarne la presenza? Continuate a leggere per scoprirlo.
Tra i metodi più diffusi per la diagnosi di dirofilariosi, vi è certamente la ricerca delle microfilarie nel sangue, sistema che a sua volta include in realtà tre diversi metodiche:
Il test della goccia di sangue, ormai sempre più abbandonato grazie allo sviluppo di metodi più precisi, consiste nel prelevare un campione di sangue del paziente e nella sua successiva osservazione al microscopio. Non viene effettuata alcuna colorazione e la presenza delle microfilarie viene evidenziata solo grazie a movimenti vorticosi dei globuli rossi da esse provocati: non è quindi possibile apprezzare le differenze morfologiche tra le larve e, di conseguenza, il medico non è in grado di discriminare una Dirofilaria immitis da una Dirofilaria repens. Vi è poi un altro problema: con un prelievo così esiguo non si riescono a concentrare le microfilarie e dunque il rischio di incorrere in un falso negativo è assai elevato.
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Il test di Knott, al contrario, è decisamente più affidabile e preciso; questa tecnica richiede il prelievo di 1ml di sangue che va inserito in una provetta con EDTA (un anticoagulante). Il medico può decidere, prima di procedere con l’esecuzione del test, di effettuare un passaggio preliminare, ovvero il lavaggio del campione con semplice acqua, allo scopo di lisare (ovvero rompere) i globuli rossi; il lavaggio è seguito da centrifugazione ed eliminazione del surnatante, cioè del liquido che si è separato dal precipitato. Sia nel caso in cui si abbia ancora il campione intero di sangue sia nel caso in cui si sia scelto di iniziare con il passaggio preliminare, si prosegue con la fissazione del campione utilizzando 9ml di una soluzione al 2% di formalina, che induce la morte delle microfilarie e le immobilizza. A questo punto si risospende il tutto (nel caso in cui il medico abbia effettuato il passaggio preliminare) oppure si miscela (nel caso in cui si abbia il campione di sangue intero), per poi centrifugare il preparato ed eliminare il surnatante.
Arrivati a questo punto non resta che colorare il campione con una o due gocce di blu di metilene, picchiettare e osservare goccia a goccia il materiale depositato sul fondo della provetta. Tutti questi passaggi permettono di evidenziare le differenze morfologiche delle larve e quindi di distinguere la D. repens, più tozza e con un’estremità caudale a manico d’ombrello (responsabile della forma cutanea), e la D. immitis, responsabile della dirofilariosi cardiopolmonare, che appare invece più affusolata e rettilinea. Anche questa metodica non è però esente dal rischio di falsi negativi, che possono presentarsi quando il test viene effettuato nel periodo di prepatenza, quando è presente un solo parassita oppure quando sono presenti solo parassiti dello stesso sesso.
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Infine, vi è poi la tecnica di filtrazione, la quale richiede il prelievo di 1ml di sangue da inserire in una soluzione da 9ml di saponina o acqua distillata; il preparato va agitato per miscelare correttamente le due componenti. Si utilizza a questo punto una siringa con applicato un porta-filtro in grado di trattenere le microfilarie, sul quale si fa defluire il liquido; si ripete quindi l’operazione utilizzando solo acqua di fonte, per poi estrarre il filtro, colorarlo con blu di metilene e osservarlo al microscopio.
Per ottenere una diagnosi in tempi brevi, i veterinari optano spesso per la ricerca di antigeni, ovvero di parti del corpo della filaria (ad esempio, proteine) in grado di suscitare una reazione immunitaria e di essere riconosciute dagli anticorpi. Questo sistema prevede l’applicazione di tecniche immunologiche che sfruttano anticorpi creati ad hoc contro gli antigeni della microfilaria e delle sostanze coloranti per evidenziare la presenza dei suddetti antigeni; il tutto è presentato sotto forma di un kit molto semplice che certamente vi sarà capitato di osservare presso l’ambulatorio del vostro veterinario di fiducia. Tali test cosiddetti rapidi rilevano la presenza degli antigeni delle femmine di D. immitis nel sangue dei pazienti, purché ne siano presenti almeno due.
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Per questa ragione, si può incorrere in falsi negativi ogni qualvolta sia presente una sola femmina, siano presenti una femmina e un maschio, sia presente un solo maschio oppure ancora siano presenti solo parassiti in stadio larvale. Ricordiamo infatti che la differenziazione nei due sessi avviene solo una volta raggiunto lo stadio di adulto. Il test va quindi effettuato quando il paziente è sintomatico oppure ha saltato la profilassi stagionale.
Questo sistema non viene utilizzato nei cani, perché in zone in cui la dirofilariosi è endemica gli animali potrebbero essere stati esposti al parassita e quindi potrebbero aver prodotto anticorpi specifici circolanti che permangono nell’organismo anche quando il parassita non è più presente; ciò è motivo di falsi positivi. Pertanto, questa tecnica è utilizzata prevalentemente nel gatto, dove però la dirofilariosi può essere evidenziata anche con una ecocardiografia. Nel gatto in particolare la diagnosi è agevolata da una sintomatologia peculiare: la presenza della dirofilaria provoca infatti vomito e un quadro sintomatico molto simile all’asma felina.
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Come accennato all’inizio, non esiste un vaccino in grado di proteggere il cane. Ma allora, certamente vi starete chiedendo, perché devo portare il cane dal veterinario per seguire una profilassi stagionale? Che cosa viene somministrato al mio pet? Semplice, un farmaco che elimina le larve L3 presenti nell’organismo e che ha effetto retroattivo; ne esistono diverse formulazioni, da quelle iniettabili a quelle orali e agli spot on. Ricordiamo però che è importante continuare a utilizzare anche i prodotti repellenti contro zanzare e altri ectoparassiti: in questo modo è infatti possibile tenere lontani i vettori e ridurre ulteriormente il rischio che l’animale contragga questa parassitosi.
Cosa diversa, invece, è il trattamento, che viene somministrato dopo avvenuta conferma della diagnosi di dirofilariosi e che prevede l’utilizzo di un farmaco che ha azione adulticida. Se il vostro animale è stato sottoposto a questa terapia, dovete avere cura di evitare che compia un eccessivo sforzo fisico e tenerlo a riposo per il tempo necessario, che vi verrà indicato dal vostro veterinario. Nei casi più gravi, potrebbe essere richiesto un intervento chirurgico per asportare il parassita.