Si tratta di una malattia molto diffusa e contagiosa che riguarda la popolazione felina a livello mondiale. Il Retrovirus che la causa si chiama FeLV, Feline Leukemia Virus e la possibilità di contrarlo varia notevolmente a seconda dell’età dell’animale, il suo stile di vita, le condizioni di salute generale e l’ambiente in cui vive. Non si tratta di una zoonosi, quindi l’uomo non è coinvolto nella malattia, e non riguarda neanche il cane, ma solamente il gatto.
È una forma di leucemia che provoca un’infezione primaria delle cellule staminali emopoietiche, ossia quelle cellule che si trovano nel midollo osseo e sono deputate alla produzione di globuli rossi. La malattia interferisce con i normali processi di produzione di leucociti, eritrociti e piastrine e provoca una anemia non rigenerativa. Tutto ciò fa sì che l’animale sia immunodepresso e sia soggetto a sviluppare infezioni in vari distretti. La malattia può essere gestita per più o meno tempo, ma la prognosi resta comunque infausta.
Il contagio è molto alto e la principale modalità di diffusione dell’infezione è quella diretta, quindi per contatto prolungato con la saliva e/o le secrezioni nasali di gatti infetti, quindi la condivisione di acqua e cibo, e lo scambio di sangue che avviene per morsicature o accoppiamenti. Esiste poi una via indiretta che è quella transplacentare, ossia dalla gatta mamma ai gattini durante la gravidanza, o mediante l’allattamento.
I randagi o i gatti che vivono all’aperto sono i soggetti maggiormente colpiti, proprio perché il contagio è molto alto e le situazioni di promiscuità, quindi, mettono a rischio intere popolazioni feline. La malattia è in grado di deprimere fortemente il sistema immunitario del gatto, che non è più in grado di difendersi da infezioni e tumori, soprattutto linfomi. Capita che il sistema immunitario dell’animale riesca a rispondere in maniera adeguata al virus neutralizzandolo così che il gatto risulti definitivamente immunizzato; ma capita anche che la risposta immunitaria non sia sufficiente e la malattia faccia il suo corso indebolendo, nel giro di un paio di mesi dal contagio, l’animale; ancora, in alcuni casi, il virus rimane inattivo all’interno del midollo osseo e il gatto non sviluppa la malattia che non dà alcuna manifestazione clinica.
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Come facciamo a capire se il nostro gatto ha contratto la malattia? I sintomi sono piuttosto aspecifici e di solito sono:
Nei gatti infetti le alterazioni sono principalmente di natura ematologica e biochimica. Come dicevamo, è presente una grave anemia che spesso è non generativa, ossia il midollo osseo non produce più globuli rossi, e a questo si aggiunge una diminuzione di linfociti, neutrofili e piastrine. A livello biochimico si verifica un aumento dell’attività sierica degli enzimi epatici (del fegato), aumenta l’azotemia nel sangue e la bilirubina, sia nel circolo ematico che nelle urine.
Un sospetto di FeLV può essere confermato mediante diversi metodi. I due principali sono il test ELISA e l’immunofluorescenza IFA. Il primo ci permette di ricercare gli anticorpi nel siero, valutando quindi la risposta del sistema immunitario, poiché se ci sono gli anticorpi vuol dire che è presente anche il virus. Si tratta di un test rapido e dai costi contenuti che può essere eseguito direttamente in ambulatorio. Il test IFA, invece, va fatto in ambulatori specializzati e va a ricercare le cellule infettate dal virus. Un altro test che è possibile eseguire è la PCR (reazione di polimerizzazione a catena), che ci dice se a essere presente è l’antigene, ossia il virus, e viene riservato ai casi particolarmente dubbi dati i costi elevati.
Come intervenire una volta accertata l’infezione? Abbiamo detto che i gatti maggiormente colpiti sono quelli giovani che vivono all’aperto. Alcuni riescono a immunizzarsi combattendo il virus ed eliminandolo spontaneamente (anche se non è nota la durata di questa “immunità naturale”); altri vengono invasi dal virus che colpisce in particolare il midollo osseo dove vengono prodotte le cellule del sangue responsabili delle difese immunitarie. Ciò comporta che il gatto infetto sia maggiormente incline a contrarre infezioni e attacchi da patogeni esterni, virus, batteri, parassiti, ecc. Non esiste una cura specifica, ma si tratta perlopiù di una cura di supporto al sistema immunitario e in grado di allungare l’aspettativa di vita del gatto infetto. Inoltre, è fondamentale un controllo generale ogni 6 mesi/un anno e che qualsiasi malessere venga prontamente segnalato.
Esiste un vaccino di prevenzione da somministrare solo a gatti testati come negativi. Non è un vaccino obbligatorio, ma consigliato se le condizioni di vita del gatto lo mettono a rischio, ossia se vive in colonie feline o in ambienti con grande ricambio di gatti e se l’animale trascorre del tempo fuori casa con la possibilità di incontrare altri gatti. Anche la sterilizzazione può essere considerata una forma di prevenzione dal contagio. La migliore resta ovviamente quella di evitare il contatto con soggetti infetti, quindi impedendo ai gatti l’accesso all’esterno. Le ciotole e le lettiere non devono essere utilizzate da gatti sieropositivi e sieronegativi e i gatti infetti dovrebbero essere tenuti esclusivamente dentro casa, evitando di infettare altri gatti o di venire a contatto con altri agenti patogeni.
Di Francesca Calmusa, medico veterinario in Roma.
È possibile fissare una visita con la dott.ssa Calamusa chiamando lo 068182106.
Foto di copertina @Maliwan Prangpan/Shutterstock