Esiste un arco temporale biologico per tutti, un ciclo che va dalla nascita, passa per l’accrescimento, la maturità, l’invecchiamento e termina con la morte. È così per ogni specie vivente, anche se le aspettative di vita cambiano notevolmente da una specie all’altra. L’uomo, infatti, ha in media un’aspettativa di vita di oltre ottant’anni, il cavallo di circa trenta, la tartaruga marina di più di cento, il criceto di circa quattro e i nostri cani e gatti in media di 14. In particolare, il cane ha una durata di vita che varia molto e tende a essere inversamente proporzionale alla sua taglia: in linea generale, più il cane è grande e meno sarà longevo e, viceversa, capita spesso di incontrare cani di taglia piccola anche molto in là con gli anni.
È di poco tempo fa una ricerca americana svolta da alcuni studiosi dell’Università della California di San Diego che ha cercato di stabilire una corrispondenza più o meno reale con l’età umana, sfatando il mito che un anno canino ne valga sette umani. Questo studio ci rivela che il nostro cane raggiunge molto velocemente la maturità e l’età adulta per poi iniziare il lento declino verso la vecchiaia. Ma anche sapendo ed essendo consapevoli che ci troviamo di fronte a un animale anziano, non lo considereremo mai come un padre o un nonno, perché lui sarà sempre il nostro fratellino o uno dei nostri figli, essendo indiscutibilmente parte integrante della nostra famiglia. È difficile accettare, a livello emozionale, che esso sia al termine del suo ciclo biologico, che la sua vita stia giungendo al traguardo finale, perché mai lo vorremmo. Ancor di più questa accettazione diventa difficile quando ci si trova in presenza di una grave patologia, certamente diagnosticata, che con ogni probabilità ce lo porterà via prima del tempo previsto, perché magari non esistono cure adeguate che ne permettano la guarigione o un proseguimento della vita in condizioni accettabili di sofferenza e comunque compatibili con le caratteristiche della sua specie. È in questi casi che si inizia a parlare per la prima volta di eutanasia.
Non esiste un protocollo stabilito in questi casi. Molti enti preposti e specializzati hanno stilato delle linee guide da seguire, ma non è possibile sempre osservare tutto alla lettera, proprio perché ogni caso è a sé. La certezza della patologia è senz’altro uno dei punti da tenere in considerazione, così come l’assenza di terapie atte alla guarigione o al controllo del dolore. Quest’ultimo non è solamente fisico, inteso come sintomo fisiologico, ma va considerato anche come “psicologico”, poiché parliamo di esseri senzienti. L’impossibilità di condurre una vita così come la si è condotta fino a quel momento, con abitudini e azioni tipiche della specie, e un’esistenza che perde di valore e significato e che non permette all’animale di continuare a vivere in maniera dignitosa vanno valutate dal proprietario che, meglio di noi medici, conosce il proprio animale. È assolutamente comprensibile l’egoismo che si impadronisce di noi quando percepiamo la nostra incapacità a separarci da un affetto così grande e che ci porta a mettere un po’ in secondo piano la sofferenza dell’oggetto del nostro amore, a volerlo tenere con noi più tempo possibile nonostante tutto. Siamo stati no ad occuparci di quel cucciolo sin dai primi giorni, abbiamo provveduto alle sue esigenze, lo abbiamo protetto dalle malattie e dai pericoli, lo abbiamo circondato dall’amore di una famiglia. Ma forse è proprio tutto questo che deve darci la forza di accompagnarlo nell’ultima tappa della sua vita, che ci renderà meno gravoso questo compito.
E quando parlo di accompagnarlo, intendo di farlo letteralmente. A volte capita che il proprietario che prende una decisione così difficile non riesca poi a stare accanto all’animale fino alla fine e incarichi il veterinario di addormentare per sempre il proprio amico a quattro zampe senza voler assistere a quel momento. E anche questo può essere comprensibile. Ma pensiamo per un attimo al conforto che potremmo dare al nostro compagno in un momento del genere, a quanto possa essergli d’aiuto la nostra presenza, a quanto possa tranquillizzarlo e non farlo sentire solo. Forse lui sa prima di noi che quel momento è vicino. Siamo la sua famiglia, il suo punto di riferimento, ciò che lo ha accompagnato per tutti questi anni, che lo ha fatto sentire amato e protetto, siamo la “sua persona”. In questo momento dobbiamo pensare ancora una volta a lui e solo a lui.
E infine soffermiamoci sul significato della parola eutanasia: deriva dal greco eu (buono, giusto) e tanathos (morte). Letteralmente “buona morte”, un concetto che si contrappone nettamente a quello di “cattiva morte”, che sarebbe una morte in sofferenza, proprio quello che non vorremmo mai per chi abbiamo così tanto amato.
Luca Buti, Medico veterinario in Roma
Master di II livello in Medicina Comportamentale degli animali d’affezione
È possibile fissare una visita comportamentale con il dott. Buti chiamando lo 068182106.
Foto di copertina @Light-Studio