Sono tante le persone che amano gli animali e che, spinte da questo sentimento, vorrebbero lavorare con loro. Ma non tutti sono portati a intraprendere una carriera universitaria in Medicina Veterinaria e vorrebbero un’alternativa riconosciuta che possa permettere loro di lavorare regolarmente.
Si potrebbe rispondere che esiste un mondo variegato, multicolore, a volte folcloristico, dove spesso si insinuano soggetti che sfruttano la passione e l’amore per gli animali per dare vita a percorsi formativi fantasiosi, inadeguati, privi di reali sbocchi lavorativi. La nostra perlustrazione vuole partire da quella figura che più di tutte è vicina al medico veterinario nell’espletamento delle mansioni giornaliere: il tecnico veterinario.
All’estero si usa il termine di “nurse” corrispondente nella traduzione letterale all’infermiere. Nel nostro paese tale denominazione non può essere usata e l’unica figura non laureata che può assistere il medico veterinario è il tecnico veterinario, unica figura riconosciuta e approvata da Fnovi (Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani) e Anmvi (Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani) inserita nel contratto collettivo nazionale di confprofessioni, alla cui qualifica si arriva tramite un’attestazione delle competenze, come definita nella UNI 45/18.
Cerchiamo, però, di definire meglio chi è il tecnico veterinario e cosa offre il mercato della formazione a chi fosse intenzionato a seguire la propria passione e trasformarla anche in un lavoro. Cominciamo con la definizione data nel CCNL (Contratto Collettivo Nazionale Confprofessioni) e ripreso nelle norme UNI: “Il tecnico veterinario è colui che assiste il medico veterinario, secondo le sue istruzioni, non autonomamente, seguendo quanto stabilito nel CCNL del 2 luglio 2015 ed allegati tecnici, durante l’erogazione delle prestazioni medico chirurgiche, nell’organizzazione della struttura e nella gestione del rapporto con il cliente e il suo animale, mettendo in atto le linee guida organizzative dettate dal medico veterinario relative all’andamento generale della struttura, coadiuvando lo stesso nell’attività professionale”. Si tratta, dunque, di una figura fondamentale all’interno della struttura veterinaria che entra a far parte di un gioco di squadra a diversi livelli professionali e che si occupa anche dell’organizzazione, e quindi del buon andamento, della struttura stessa.
Il livello delle conoscenze, abilità e competenza viene definito in base al Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF) e non può essere inferiore a EQF 4. Già questo limite pone fuori luogo quei percorsi formativi che non rispecchiano il livello, ma che soprattutto alla fine del percorso non sono in grado di certificare le abilità e le competenze secondo quanto previsto dalle attuali normative. Si tratta prevalentemente di corsi a distanza/online o con qualche breve incontro di qualche giornata, la cui presunta didattica è lasciata a soli libri, qualche cd e prefabbricate video-lezioni dai contenuti molto generici. Al termine di questo percorso viene rilasciato un attestato di assistente veterinario o animal care assistent, che è una figura inesistente nel nostro paese, come in molti altri, senza alcun riconoscimento sindacale e normativo, privo di mansionario specifico e non approvato dalle associazioni professionali di categoria come Fnovi e Anmvi. Di fatto una formazione che si otterrebbe con una qualsiasi enciclopedia sugli animali, spesso solo cani e gatti, e qualche documentario della BBC o Discovery channel.
Altro discorso sono le lauree triennali che vengono offerte in alcuni atenei dove sono presenti i dipartimenti di Medicina Veterinaria. Non è questo il posto dove discutere sulla riforma dell’università, ma di certo le lauree triennali non sono servite a trovare lavoro. Indubbio il loro elevato contenuto teorico che porta i laureati triennali ad avere un EQF 6 e al diritto di farsi chiamare “Dottore”, che porta non poco scompiglio nella categoria professionale dei Medici Veterinari, i quali vedono in questi soggetti una possibile fonte di concorrenza sleale. Difficile in ambito lavorativo farsi chiamare dottore (laurea triennale) o dottore magistralis (laurea magistrale in medicina veterinaria, 5 anni e anche più…). Questo fa sì che molti veterinari liberi professionisti cerchino di evitare di avere un altro dottore “diversamente veterinario”. Alcuni di questi giovani o meno giovani laureati provano ad aprire una loro partita iva con il grave rischio di vedersi denunciati per abuso di professione in quanto non esiste un mansionario specifico per le lauree triennali. Possono fare tutto e niente. Per cui, di fatto, vengono assunti nelle strutture veterinarie e si attengono al mansionario dei tecnici veterinari, pur avendo fatto una formazione universitaria che costa a tutti noi cittadini 11.257 euro per anno, quindi 33.771 euro su un totale di tre anni, sempre che non siano in ritardo sul percorso di studi, senza contare che se sono fuori sede andranno aggiunti 8 mila euro anno di costi aggiuntivi per le famiglie (fonte Sole 24 Ore).
Esiste al momento una sola scuola che fornisce una formazione professionale riconosciuta dalle associazioni di categoria veterinarie, accreditata da Acovene, che è l’organismo di accreditamento delle scuola per nurse in Europa, che consente a tutti i certificati di poter essere direttamente iscritti all’albo delle nurse in UK e in altri paesi europei, certificata cepas bureau veritas e che segue la prassi Uni 45/18 approvata dalla Fnovi. La tutela della categoria è lasciata in mano all’associazione ATAV (Associazione Tecnici Ausiliari Veterinari) a cui si accede con percorsi formativi riconosciuti come laurea triennale, certificazione Abivet/Acovene, cinque anni di lavoro subordinato con contratto presso centri veterinari.
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