Platz, Sitz e Kommt sono parole tedesche comunemente usate nei corsi per dare il comando al proprio cane. La prima volta che le udii non potei nascondere un sorriso, quasi mi voltai per non farmi vedere. Con tutto il rispetto per la lingua alemanna, mi sembrava fuori luogo utilizzare queste parole, perché penso che la nostra sia una lingua bellissima, capace di creare suoni e accenti che tutto il mondo dovrebbe invidiarci.
Ovviamente, l’utilizzo di questi termini ha un suo motivo: la fonetica. Le parole tedesche hanno un suono secco, quadrato; il tedesco è una lingua che si legge come si scrive. I comandi dei cani devono essere brevi e il suono emesso deve essere chiaro, ben udibile dall’animale ed efficace. La lingua germanica si presta benissimo a questa funzione perché pare sia più efficace dire sitz! piuttosto che seduto! ma secondo questa logica dovremmo chiamare il nostro cane con un nome tedesco.
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Ho avuto un piccolo meticcio che si chiamava Otto ma fu puramente un caso. In quegli anni feci una piccola gita con la scuola e fui ospitato da una famiglia di Amburgo il cui padre si chiamava per l’appunto Otto. Ripensandoci adesso, non sono così sicuro che gli fece piacere sapere di avere lo stesso nome del mio cane.
Come istruttore, ognuno è libero di elaborare il proprio sistema di lavoro e il mio primo impegno fu quello di utilizzare parole italiane. Il problema è un altro perché alcuni proprietari tendono a chiamare molto il proprio cane, dimenticando ad esempio di associare il komm… pardon, il vieni!.
Se A continua a chiamare B senza dirgli cosa vuole, B finirà per rispondere ad A chiedendogli a sua volta cosa vuole. Quindi, prima regola di un conduttore: associa sempre il comando al nome, richiama l’attenzione ed indica prontamente il motivo al tuo cane. Il “NO” è un termine molto efficace perché ha un suono forte e preciso e il cane lo sente immediatamente. Per assurdo, potremmo utilizzare il “ni” o il “bho” anziché la negazione ma ovviamente la logica esige il suo rispetto.
Chiusa questa parentesi sulla fonetica, esistono razze di cani che abbaiano raramente ed altre che fanno un gran chiasso. Io ho una gordon setter che emette scarse vocalizzazioni, se non nulle. Con lei uso il silenzio: i gesti e le movenze sono un efficace metodo di comunicazione cane-padrone.
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Mi è capitato di approcciare animali timorosi ove la voce era praticamente inutile. Costruire un rapporto di fiducia con un animale non è cosa facile; ho lavorato con i cavalli, con loro meno parli, meglio è. Il tocco fisico è l’unico modo per “conversare” con questi splendidi animali, accarezzandoli gentilmente durante l’approccio. A casa di un amico, entrai nel recinto dove teneva un bel cavallo ed un asinello che serenamente brucavano l’erba. A dieci metri dalla staccionata, il cavallo mi notò e con un trotto spinto mi raggiunse velocemente, seguito dall’asino. Mi preoccupai perché erano troppo invadenti e il cavallo mi stava spingendo con il muso. Tenendoli sempre di fronte a me, cominciai a indietreggiare lentamente, le mani alzate a sfiorargli il muso. Appena potei mi infilai nella staccionata ed uscii dal recinto. Accanto a me, un pastore australiano mi guardava incuriosito; forse lui sapeva benissimo che non era un posto in cui entrare. Se avessi cominciato a gridare o a tentare qualche comando, penso che avrei fatto peggio e il cavallo avrebbe potuto reagire inaspettatamente. Fui uno stupido, lo ammetto, ma il mio unico modo per comunicare fu di rimanere in silenzio.
Con un cane non è tanto diverso: mi piace sedermi accanto a loro quando stanno nella loro cuccia, accarezzarli e tastarli per capire quanto il loro corpo sia ricettivo. La mia setter non ama essere toccata sulle zampe e probabilmente i suoi arti si sono molto affaticati in anni di caccia e di box all’aperto. Quindi la rispetto e non vado oltre; al contrario, cerco di rassicurarla e stimolo la sua tranquillità. Questa è comunque comunicazione ma su una scala più sottile. Quante volte troviamo il nostro cane ad attenderci sulla porta, rimanendo ore immobile in una noia che difficilmente una persona saprebbe affrontare. Mi chiedo come riesca a farlo e penso che sedermici di fianco sia un piccolo tentativo per meglio comprendere le sue emozioni. Se un cane non sta bene, non può dircelo ed è dovere nostro accorgercene. Personalmente controllo sempre le zampe, le orecchie, gli occhi mentre li accarezzo e cerco di cogliere ogni segnale che i miei animali mi danno.
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Allo stesso modo, durante una lezione mi piace portare il conduttore ad ascoltare il proprio cane prima di chiedergli qualcosa. Se devo insegnargli a fare un salto, non mi serve nulla se non la pazienza di raggiungere l’obiettivo. Mi porto al suo livello visivo, resto accucciato e lo guido senza nulla pretendere se non un piccolo passo in più rispetto al tentativo precedente. Entra in gioco una comunicazione fisica, fatta di carezze e piccoli tocchi che aiutino l’animale a capire le mie intenzioni e seguirmi nell’esercizio. Posso insegnare a un pastore il “seduto” semplicemente portando il mio pugno al petto oppure richiamarlo alzando un braccio. Mi piace uscire dagli schemi e illustrare ai miei clienti cinofili che esistono molti modi per raggiungere lo stesso scopo, operando su equilibri diversi.
Possiamo effettuare una passeggiata con il nostro cane senza mai parlare, lasciando che l’animale faccia ciò che vuole e venga a cercarci quando lo desidera. Basterà un cenno per contraccambiare la sua attenzione e lentamente saremo in grado di costruire una comunicazione più sottile, più profonda ed efficace di qualsiasi parola perché in quei momenti non parliamo con il cane ma con la sua anima.
E loro la hanno, di questo ne sono sicuro.
Luca Calegaro, educatore cinofilo Cinofilia Padova