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Il miracolo delle Caretta caretta

La tartaruga marina è una risorsa molto importante per i nostri mari. La sua esistenza è un vero e proprio miracolo minato da numerosi pericoli.
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La Repubblica degli Animali | RDA

Ogni anno, nelle notti estive tra maggio e agosto, in una delle più belle spiagge italiane, quella dell’Isola dei Conigli, a poche decine di metri da Lampedusa, si compie un miracolo. Migliaia di tartarughe marine della specie Caretta caretta, raggiungono la costa: ognuna di esse scava una buca nella quale depone un centinaio di uova che ricopre con la sabbia, e poi riprende la via del mare. Incredibilmente, le tartarughe marine per deporre le uova scelgono sempre la stessa spiaggia nella quale sono nate. Le uova rimarranno lì, in incubazione, per una sessantina di giorni, prima che si compia il secondo miracolo notturno, la schiusa, e le piccole tartarughine riemerse dalla sabbia si dirigono subito verso il mare, pronte per affrontare la loro nuova vita.

La tartaruga marina è una risorsa molto importante per i nostri mari. La sua esistenza è un vero e proprio miracolo minato da numerosi pericoli.

Un successo evolutivo

L’esistenza di questi animali, infatti, fatta eccezione per la nascita e la deposizione delle uova, si svolge completamente in mare aperto: una tartaruga marina passa il 96% del proprio tempo sott’acqua. Questi rettili, presenti sul pianeta da oltre 100 milioni di anni, si sono perfettamente adattati alla vita acquatica grazie a una serie di strutture anatomiche che ne hanno determinato il successo evolutivo: innanzitutto il corpo dalla forma allungata e idrodinamica, rivestito da una robusta corazza, e gli arti modificati in vere e proprie pinne. La corazza è costituita da una parte superiore (carapace) e una inferiore (piastrone) tenute insieme da un tessuto cartilagineo, che assicurano la protezione degli organi interni. Ne fuoriescono la testa, la coda e gli arti: quelli anteriori servono a dare propulsione durante il nuoto, quelli posteriori invece hanno funzione di timone. Per spaccare i gusci delle conchiglie e dei crostacei di cui si cibano, le tartarughe marine possiedono un robusto becco, delle mascelle modificate per strappare e triturare il cibo. Pur apparendo molto goffe e lente sulla terraferma, appena si trovano in acqua si trasformano in abili e veloci nuotatrici; anche la loro vista si acutizza a contatto con l’acqua, elemento nel quale riescono a distinguere i colori. Anche il gusto e l’olfatto sono molto sviluppati: quest’ultimo soprattutto grazie alla presenza dell’organo di Jacobson, che riveste la cavità nasale con le sue cellule sensoriali.

Vulnerabili ai predatori

Pur conducendo la loro esistenza prevalentemente in ambiente acquatico, le tartarughe marine sono dotate di polmoni che le costringono a tornare in superficie per respirare aria ma anche per riscaldarsi (come tutti i rettili sono animali a sangue freddo); sono però in grado di stare in apnea per tempi lunghissimi: una capacità indispensabile per il tipo di vita che conducono. Il carapace delle tartarughe marine, però, è molto appiattito (a differenza di quelle terrestri che è invece a forma di cupola), una caratteristica che non consente loro di ritrarre il capo e gli arti all’interno, e che le rende molto vulnerabili agli attacchi dei predatori, in particolare degli squali. A dispetto della loro vulnerabilità però, in natura è stato osservato che, anche dopo un attacco e anche senza un arto, questi formidabili animali possono comunque sopravvivere e riprodursi.

La deposizione delle uova e la nascita delle tartarughine

L’accoppiamento avviene in superficie, in modo che le due tartarughe abbiano la possibilità di respirare. Le uova verranno poi deposte nella stessa spiaggia in cui è nata la madre o poco vicino; la scelta della spiaggia non è casuale e segue determinati parametri: deve essere sufficientemente ampia, con una sabbia adatta, al riparo da predatori e luci artificiali; se uscendo dall’acqua per deporre le uova, la femmina trova degli impedimenti, rinuncia alla deposizione e riprende la via del mare. Se invece le condizioni sono quelle giuste, si trascina per qualche metro sulla sabbia, scava la sua buca e vi depone le uova. Queste sono morbide e bianche, perfettamente sferiche, e la loro grandezza è simile a quella di una pallina da ping pong. Per deporre tutte le uova la femmina può impiegare molte ore, dopodiché ricopre la buca e torna in acqua abbandonandole per sempre al loro destino. L’incubazione durerà circa due mesi e i primi giorni sono quelli più a rischio predatori, perché le uova emettono un odore molto forte e caratteristico. L’elevato numero di rischi di sopravvivenza di un’intera nidiata spiega anche l’altrettanto elevato numero di uova deposte.
La schiusa delle uova di una nidiata avviene contemporaneamente per tutte le uova: quando escono dall’uovo, le neonate tartarughine misurano appena 4 cm, il loro sesso dipende da fattori ambientali (come la temperatura della sabbia) e sono già pronte per nuotare. Il pezzo di spiaggia che le separa dall’acqua è quello più pericoloso perché proprio lì hanno le maggiori probabilità di essere intercettate da qualche predatore affamato. Una volta in acqua, i piccoli si dirigono verso il mare aperto e si lasciano trasportare dalle correnti, mangiando ciò che capita loro sotto tiro; quando non mangiano e quando non nuotano rimangono poggiate sul fondo marino per molto tempo. Trascorreranno così tutta la fase giovanile fino alla maturità sessuale, che avviene dopo molti anni. Una volta diventate adulte, la tartarughe iniziano lunghi spostamenti (si tratta spesso di migliaia di chilometri) per raggiungere i luoghi di pascolo o quelli di riproduzione. È molto raro che una tartaruga intraprenda ogni anno un viaggio per riprodursi: il costo energetico sarebbe troppo elevato; per questo motivo, dopo la deposizione delle uova, la tartaruga si riposa per qualche anno prima di accoppiarsi nuovamente. Per orientarsi durante le migrazioni, pare che si affidino a una combinazione di stimoli chimici, visivi e ambientali, oltre che magnetici: quest’ultima ipotesi è stata avvalorata dal ritrovamento, nel loro cervello, di cristalli di magnetite (un minerale che si orienta secondo il campo magnetico terrestre).

La tartaruga marina è una risorsa molto importante per i nostri mari. La sua esistenza è un vero e proprio miracolo minato da numerosi pericoli.

Sesso e temperatura

La determinazione del sesso dei nascituri, come per molti rettili, dipende dalla temperatura di incubazione: a basse temperature ed entro i 27-28°C si avranno nascituri maschi; dai 30°C in su si avranno solamente femmine. La temperatura soglia al di sopra della quale si sviluppano prevalentemente individui di sesso femminile e al di sotto della quale, invece, si sviluppano in prevalenza individui di sesso maschile si definisce “temperatura pivotale”, ed è quella che va dai 28 ai 30°C e in cui si avranno entrambi i sessi. Tale meccanismo ha fini esclusivamente adattativi. Come spiega James J. Bull, professore di biologia molecolare della University of Texas at Austin:

“la determinazione del sesso della prole dovuta a fattori ambientali risulta vantaggiosa quando una variabile ambientale esercita effetti che hanno conseguenze diverse sulla fitness maschile e su quella femminile”.

Nello specifico, se essere femmina o maschio è più vantaggioso da un punto di vista di adattamento all’ambiente circostante, la determinazione del sesso genotipico potrebbe produrre individui poco adatti all’ambiente presente. È in tali casi che si parla di ESD (environmental sex determination) rispetto alla GSD (genotypic sex determination), e la più comune forma di ESD è la TSD (temperature sex determination).

Un’esistenza difficile

In tutti gli stadi della vita, le tartarughe devono fare i conti con numerosissimi pericoli: le uova possono essere distrutte dai batteri o mangiate da piccoli predatori, persino dai granchi; alla schiusa, i piccoli rappresentano un prelibato boccone non soltanto per gli animali che possono raggiungere la spiaggia via terra ma anche e soprattutto per gli uccelli, e una volta in mare il pericolo è rappresentato dai pesci. Ovviamente, via via che la tartaruga cresce e la sua corazza si indurisce, sarà predata solo da pesci di grosse dimensioni: di questi, gli unici che rappresentano un pericolo costante sono gli squali. In particolare lo squalo tigre è quello più temibile perché riesce a intercettare la preda anche a grandi distanze grazie al suo portentoso olfatto. Ma le povere tartarughe devono fare i conti anche con altri pericoli: al pari dello squalo, l’uomo è diventato il maggior nemico di questi animali. Da una parte perché ancora in molti paesi, non solo vengono depredate le uova ma anche gli adulti sono oggetto di caccia sfrenata, un po’ per la qualità delle loro carni, un po’ per impossessarsi della corazza (ne vengono fatti gli usi più disparati); dall’altra perché anche quando non vengono cacciate trovano ostacoli che noi, nella nostra conclamata arroganza, poniamo sul loro cammino.
Uno dei pericoli più frequenti per una tartaruga adulta è la plastica, in particolare i sacchetti che ancora oggi (nonostante tali forme di ignoranza, a mio avviso, non siano più ammissibili né giustificabili) finiscono in mare. Le buste, infatti, vengono scambiate per meduse, uno degli spuntini più apprezzati dalla tartarughe. Quando le tartarughe le ingeriscono possono morire soffocate, se non le ingeriscono possono rimanerne intrappolate. Insomma, la plastica in mare è per questi animali (ma anche per i delfini e moltissime altre specie) una vera e propria piaga. Nonostante in molti paesi sia vietato fabbricare buste di plastica, ancora oggi queste continuano a inquinare i mari di tutto il mondo. Prova ne è la più grande discarica di plastica scoperta nel Pacifico qualche anno fa: si tratta dell’ormai tristemente famoso Pacific Trash Vortex, un enorme accumulo di rifuti plastici la cui estensione si aggira tra i 700 mila e gli oltre 10 milioni di chilometri quadrati, per oltre 100 milioni di tonnellate di detriti. Come tutti sappiamo, la plastica non è biodegradabile, ma si degrada con la luce riducendosi in minuscoli frammenti che si disperdono nel mare entrando nella catena alimentare. Tutta questa plastica, alla fine, non è un pericolo solo per le tartarughe e le altre specie marine, ma anche per noi perché finisce nel nostro cibo. L’augurio è che prima o poi, se anche non riusciamo a rispettare l’ambiente per una naturale forma di conservazione per ciò che ci circonda, magari potremo cominciare a farlo per una più egoistica paura delle conseguenze.

I centri di recupero

Il Crtm di Brancaleone

Attivo dal 2006, il Centro Recupero Tartarughe Marine si pone come principale obiettivo la tutela e conservazione delle tartarughe marine, attraverso il soccorso, la cura e la riabilitazione degli esemplari rinvenuti in difficoltà. È gestito dall’associazione ambientale no-profit “Naturalmente Brancaleone” che, senza scopo di lucro, si impegna nella realizzazione di numerose attività a tutela dell’ecosistema marino e dunale, svolgendo, inoltre, un ruolo molto importante nella sensibilizzazione e nell’educazione ambientale. Accoglie infatti numerose scuole attraverso progetti didattici, ma anche gruppi, famiglie ed altre associazioni del settore ambientale e non, e durante il periodo estivo diviene meta di molti turisti che sopraggiungono da tutta Italia per visitare l’ospedale delle tartarughe.
Sorge in un’area del Mediterraneo molto frequentata dalle tartarughe, all’interno del sito più importante di nidificazione della Caretta caretta; la costa ionico-meridionale calabrese, denominata “Costa dei Gelsomini”. In questi 36 km di costa quasi desertica si concentra, infatti, circa l’80 per cento di tutti i nidi deposti in Italia, isole comprese.
L’associazione non dispone di alcun tipo di finanziamento e si autogestisce organizzando attività atte a raccogliere fondi per il mantenimento stesso della struttura. È impegnata, inoltre, in numerosi progetti di ricerca scientifica nazionali e internazionali inerenti la Conservazione delle Tartarughe Marine.
www.crtmbrancaleone.it

Il Turtle Group di Lampedusa

A Lampedusa, da oltre vent’anni, opera il più importante centro di recupero delle tartarughe marine, il Turtle Group istituito dalla biologa Daniela Freggi e patrocinato dal Wwf Italia. Ogni anno, nel Centro di Soccorso vengono ospitate e curate oltre 100 tartarughe marine, la maggior parte delle quali è stata accidentalmente catturata dalle reti o dagli ami di qualche peschereccio. Il centro è dotato di una sala operatoria, dove le tartarughe vengono operate se necessario (la maggior parte di esse va incontro a infezioni o rischia la perdita di un arto), e da una serie di vasche per il recupero delle degenti. Ma qui il lavoro degli specialisti e dei volontari (provenienti da tutta Italia ma anche da più lontano) non si limita “solo” a questo: il centro infatti è aperto al pubblico. Può sembrare un dato scontato ma non lo è: dare la possibilità ai visitatori di conoscere le attività del centro, ascoltare le storie delle tartarughe ricoverate, vederle, magari anche affezionarcisi è un momento fondamentale per la divulgazione di ciò che avviene non solo all’interno del centro, ma anche là fuori, in mare aperto; dei pericoli che questi meravigliosi animali devono affrontare ogni giorno. La sensibilizzazione, primo passo verso il rispetto dell’ambiente, inizia anche da questo.
www.lampedusaturtlegroup.org

di Emanuela Busà
Naturalista e divulgatrice scientifica

Foto di copertina @Willyam Bradberry/Shutterstock

Le domande frequenti sul tema Il miracolo delle Caretta caretta

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