Quando si parla di conflitti nel regno animale, siamo troppo propensi a pensare a scontri fisici e pertanto aggressivi. Questo perché tendiamo a “umanizzare” i nostri amici a quattro zampe e a pensare che abbiano comportamenti e reazioni simili alle nostre.
Nel caso dei conflitti tra gatti, ci sembra naturale riconoscere da un ringhio o da un’insofferenza un motivo di scontro, ma non è sempre così.
La verità è che nel mondo felino una minoranza davvero irrisoria di scontri esita in lesioni fisiche vere e proprie e quando queste si verificano sono per lo più accidentali, non volute. Basti pensare al numero (sedici unghie retrattili affilatissime e tutti i denti) di armi che il gatto possiede e alla loro efficacia offensiva, e osservare poi l’assenza di lesioni nei contendenti alla fine di quegli scontri che, per vocalizzazioni e intensità di realizzazioni, a noi sembravano ad esito mortale, per renderci conto che quelle lotte sono nella stragrande maggioranza dei casi assolutamente mimetiche.
I gatti sono animali sociali “facoltativi”, vale a dire che non devono necessariamente aggregarsi ai loro simili, poiché la loro sopravvivenza non è legata al gruppo. Non vivono in comunità formate da individui reciprocamente dipendenti come fanno i cani e non dipendono da una gerarchia stabile, motivo per cui ai gatti conviene evitare qualunque conflitto, allo scopo di minimizzare i rischi di ferite che possano compromettere la loro efficienza in attività come la caccia o la difesa personale.
Anche il soggetto più sicuro e “dominante” che entri in conflitto con un soggetto più debole si espone sempre e comunque agli artigli di quest’ultimo, pertanto anche se più forte cercherà di risolvere la questione con dimostrazioni simboliche di aggressività tramite movimenti del corpo, espressioni facciali e vocalizzazioni, senza cercare un vero e proprio scontro fisico.
Queste dimostrazioni simboliche di forza si possono osservare spesso nelle case con più gatti, dove i soggetti che vivono insieme sviluppano con il tempo – ma soprattutto con l’emissione dei suddetti comportamenti, ai quali corrispondono risposte altrettanto “aggressive” o di contro di remissività – quello che i proprietari descrivono come rapporto di “reciproco rispetto” che è alla base di una buona convivenza.
In queste circostanze, diventano normali i glaciali incroci di sguardi in prossimità della cucina o della stanza del proprietario, i profondi brontolii di avvertimento, i soffi, l’ingobbimento della schiena accompagnato dalla piloerezione, ma la violenza fisica e le ferite rimangono episodi eccezionalmente rari.
I gatti non sanno risolvere un conflitto poiché non riescono a “perdonare”, nel loro repertorio comportamentale mancano i gesti di riappacificazione. Nel caso in cui si sentono in pericolo o impauriti dall’altro, restano immobili o, al massimo, fuggono. D’altronde sono animali solitari e indipendenti, che non hanno necessità di stabilire rapporti di convivenza con i loro simili.
È importante, quindi, non forzare le interazioni né punirli se mostrano aggressività o paura, poiché si rischia di spaventarli ulteriormente. Certo, difficilmente due gatti entrati in conflitto diventeranno buoni amici tra loro ma possono comunque vivere pacificamente insieme, tollerandosi a vicenda.
Luca Buti, Medico veterinario in Roma
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