“L’innesco di un incendio è opera dell’uomo, deliberatamente o per errore”.
Ad affermarlo è Alberto Setzer dell’Inpe (Istituto nazionale per la ricerca spaziale brasiliano). L’Amazzonia brucia ormai da diversi giorni, i primi incendi erano stati già rilevati dal satellite Aqua della Nasa tra l’11 e il 13 agosto e stanno colpendo in particolare il confine con Bolivia e Paraguay, negli Stati di Rondonia e Mato Grosso.
“Per la maggior parte dell’anno gli incendi nella foresta Amazzonica sono rari a causa dell’umidità, ma tra luglio e agosto, con l’arrivo della stagione secca, generalmente l’attività aumenta”.
Ad appiccare gli incendi sono spesso gli agricoltori o gli allevatori che danno fuoco per gestire meglio i propri campi o i pascoli o per ripulire il terreno. Pratica assolutamente vietata in questo periodo dell’anno proprio per il clima favorevole al diffondersi delle fiamme. Martedì 20 agosto alle 15 il cielo di San Paolo è diventato plumbeo per circa un’ora, un fenomeno causato da un fronte di aria fredda, l’umidità molto bassa che ha creato una sorta di cappa e il fumo dei grandi incendi.

Nel 2019 gli incendi rilevati nel “polmone della terra” sono stati 72.843, l’83 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e il numero più alto dal 2013, quando l’Inpe ha iniziato le rilevazioni. Si tratta di ondate di siccità che stanno colpendo la foresta sempre più spesso, privandola di quel “tetto” che trattiene l’umidità. Secondo il Noaa, l’Agenzia federale statunitense che si occupa anche di clima, queste ondate di siccità sarebbero collegate a un aumento della deforestazione nella regione e al cambiamento climatico innescato dall’uomo. A ciò si aggiunge il dato preoccupante dell’aumento del tasso di deforestazione dell’Amazzonia che sarebbe aumentato del 67 per cento nei primi sette mesi dell’anno in corso. Negli stessi mesi dello scorso hanno i chilometri quadrati di foresta persa erano tre volte di meno.
