Non è ancora legge, ma è nella fase di “consultazione aperta”. Si tratta della proposta avanzata dal Ministero dell’Agricoltura e degli Affari rurali cinese che ha diffuso una nuova lista riguardante le specie animali terrestri edibili, ossia destinabili al consumo umano. Tra questi finalmente sono stati esclusi quelli che il mondo occidentale considera animali d’affezione, e quindi cani e gatti, lasciando gli animali da reddito (suini, bovini, ovini e pollame) e altri animali il cui consumo per noi è un po’ inconsueto, come la renna, l’alpaca o lo struzzo, e anche animali selvatici, quali selvaggina da caccia, volpe argentata o visone. Nella lista, insomma, rientrano tutti quegli animali che “sono stati addomesticati e fatti riprodurre per lungo tempo” al fine di ottenere prodotti come carne, uova e pelliccia oppure per fini medicinali e militari.
Già a febbraio, subito dopo la diffusione del coronavirus, era stato messo al bando il consumo di animali selvatici nei wet market, prima fra tutti la città di Shenzhen che aveva addirittura deciso di vietare il consumo di carne di cane indipendentemente dal resto del Paese.
L’entusiasmo degli animalisti
Diversi i plausi per la proposta del ministero dell’Agricoltura cinese che, se approvata, porrà fine al famoso festival della carne di cane che ogni anno si tiene nella città cinese di Yulin.
“Questo proposta di legge, se approvata, rappresenterà un enorme passo in avanti per la protezione degli animali in Cina e un cambio culturale davvero importante” ha commentato Martina Pluda, direttrice di Humane Society International Italia, l’associazione americana che stima tra i 10 e i 20 milioni i cani uccisi ogni anno in Cina per la loro carne. “Questa decisione darà un nuovo status giuridico a cani e gatti come animali da compagnia, invece di essere considerati carne per il consumo umano, cosa che sta diventando sempre di più l’opinione comune tra la popolazione cinese. Vedere azzerati i numeri delle uccisioni di cani, è un grande risultato”.
D’accordo anche l’on. Michela Vittoria Brambilla, presidente dell’Intergruppo parlamentare sui diritti degli animali e portavoce in Italia della Dog World Alliance, l’associazione internazionale fondata dal magnate sino-giapponese Genlin che si batte in tutto il mondo per il bando del consumo di carne di cane.
“È una svolta di portata storica. Se le autorità cinesi applicheranno coerentemente il principio introdotto dal ministero dell’Agricoltura, sarà la fine per il vergognoso Festival di Yulin (un evento annuale che celebra la carne di cane, ndr) e per quel che di questa barbara industria sopravvive in un Paese dove la stragrande maggioranza dei cittadini sostiene invece la tutela di questi animali”.
Tra le associazioni animaliste entusiaste di questa proposta di legge anche l’Asta, Associazione Salute e Tutela Animali, la cui presidente Susanna Celsi ha così commentato:
“La Cina è stata spesso criticata per la pratica, esistente in alcune sue regioni, di mangiare cani e gatti. E ancor peggio di farli lungamente soffrire prima di ucciderli. Ora la decisione storica del governo cinese di rendere illegale il consumo di carne di animali domestici sembra sorprendere i più. Ma è davvero così inaspettata? La complessa realtà cinese vede una classe dirigente particolarmente attenta, da decenni, alle tematiche legate al consumo della carne (conseguenze ambientali, costi per la salute umana, diritti animali). Ma Pechino deve fare i conti con una realtà ben diversa dall’ideale e con una vasta popolazione abituata a pratiche che si perdono nella notte dei tempi: identità regionali culturali e culinarie ben radicate e difficili da mettere in discussione. L’attuale crisi sanitaria deve essere sembrato il momento più opportuno, al governo cinese, per forzare un cambiamento epocale da loro stessi auspicato da anni. Bravissima Cina.
Speriamo che il disastro sanitario attuale, e quello finanziario ed economico che ne seguiranno, facciano riflettere anche l’Europa seriamente sul modo in cui trattiamo gli animali: i coinquilini più indifesi su questo pianeta. Potremmo iniziare, ad esempio, eliminando pratiche altrettanto discutibili come la corrida o il foie gras”.